Sul Sole 24 Ore, Ivana Pais offre una sintesi dei risultati del progetto di ricerca WePlat. Riportiamo di seguito il testo dell’articolo:

 

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La cura della persona passa sul web con le piattaforme

Le piattaforme di lavoro – ambienti digitali che facilitano e coordinano le transazioni tra domanda e offerta di lavoro attraverso algoritmi – si stanno diffondendo in ogni settore. La ricerca WePlat – Welfare Systems in the Age of Platforms, coordinata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e finanziata da Fondazione Cariplo, ha permesso di mappare e analizzare le piattaforme nei servizi di cura alla persona. Abbiamo individuato 137 piattaforme, di cui 60 offrono servizi di salute fisica e mentale, 10 servizi di educazione e cura dell’infanzia, 10 servizi di assistenza sociosanitaria e le restanti 57 una combinazione dei servizi precedenti.

L’analisi di queste piattaforme mostra la presenza di due processi: la digitalizzazione delle organizzazioni tradizionali, che offrono i propri servizi attraverso piattaforme di e-commerce; la nascita di nuove aziende che adottano modelli simili alle piattaforme digitali di lavoro in altri settori.

Il primo processo ha determinato la nascita di 29 piattaforme di welfare aziendale che offrono ai lavoratori anche la scelta di servizi di cura, su oltre cento provider che operano in questo settore e 26 piattaforme di welfare territoriale, che aggregano organizzazioni del terzo settore che offrono servizi di welfare a livello locale, di cui 16 appartenenti al network WelfareX promosso dal consorzio nazionale CGM.

Le startup digitali sono più numerose: ne abbiamo mappate 82, di cui 57 operano nel settore salute, con 31 piattaforme che offrono consulenza psicologica.  Queste piattaforme possono offrire servizi direttamente online (25 aziende), oppure fare il matching online tra domanda e offerta e poi offrire il servizio in presenza (27 piattaforme) o ancora offrire servizi sia online che offline (30 piattaforme).

Le piattaforme di welfare digitale si differenziano da quelle di welfare aziendale e territoriale perché mettono in vetrina i profili dei professionisti, con foto e descrizione del percorso professionale. Nei due terzi di queste piattaforme i clienti possono scegliere direttamente il professionista; nel restante terzo, il cliente esprime i propri bisogni e poi è la piattaforma ad assegnare il professionista, anche attraverso algoritmi che effettuano il matching.

Le piattaforme di welfare digitale presentano elementi distintivi rispetto alle piattaforme che operano in altri settori. Più della metà non adotta un sistema reputazionale, che raccolga e renda visibili i giudizi lasciati dai clienti sui professionisti. Questo tema è particolarmente delicato nelle piattaforme che offrono consulenze con medici e psicologi. In un settore dove la valutazione delle competenze tecnico-professionali può essere affidata solo al giudizio dei pari, il sistema reputazionale sposta l’attenzione sulle competenze relazionali, che sono le sole che possano essere valutate dai pazienti.

Un altro elemento che caratterizza questo settore è il fatto che più della metà delle piattaforme definisce il prezzo della prestazione. Anche in questo caso, le piattaforme più interessanti sono quelle attive nel settore della salute, poiché questa modalità incrina l’autonomia professionale storicamente riconosciuta ai professionisti. Non è un caso che sia maggiormente diffusa nelle piattaforme di salute mentale, dove l’alto numero di psicoterapeuti presenti sul mercato offre alle piattaforme un maggiore potere negoziale rispetto agli altri servizi di consulenza medica.

Un ultimo elemento distintivo riguarda le condizioni di lavoro degli operatori: le uniche piattaforme di welfare digitale che prevedano la regolarizzazione del rapporto di lavoro sono quelle che riguardano medici e psicologi. Le professioni non ordinistiche – dalle attività di baby-sitting a semi-professioni come osteopatia o fisioterapia – sono intermediate tramite piattaforme che non contrattualizzano i fornitori dei servizi. Questo determina un rafforzamento delle condizioni di informalità già diffuse nel settore della cura della persona. Rispetto ai rider, che negli ultimi anni hanno rivendicato maggiori tutele, i lavoratori e le lavoratrici della cura sono penalizzati dal fatto di svolgere le proprie attività all’interno delle mura domestiche ma il fatto di essere aggregati e con profili visibili sulle piattaforme digitali potrebbe favorire nuove forme di azione collettiva.